«Più rileggo questo elenco e più mi convinco che esso è effetto del caso e non contiene alcun messaggio. Ma queste pagine incomplete mi hanno accompagnato per tutta la vita che da allora mi è restata da vivere, le ho spesse consultate come un oracolo e ho quasi l’impressione che quanto ho scritto su questi fogli, che tu ora leggerai, ignoto lettore, altro non sia che un centone, un carme a figura, un immenso acrostico che non dice e non ripete altro che quei frammenti mi hanno suggerito, né so più se io abbia sinora parlato di essi o essi abbiano parlato per bocca mia. Ma quale delle due venture si sia data, più recito a me stesso la storia che ne è sortita, meno riesco a capire se in essa vi sia una trama che vada al di là della sequenza naturale degli eventi e dei tempi che li connettono. Ed è dura per questo vecchio monaco, alle soglie della morte, non sapere se la lettera che ha scritto contenga un qualche senso nascosto, e se più d’uno, e molti, o nessuno. (…) Fa freddo nello scriptorium, il pollice mi duole. Lascio questa scrittura, non so per chi, non so più intorno a cosa: stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus.»
Adso da Melk, la voce narrante, tira le fila della sua esperienza nel finale de Il nome della rosa, il romanzo di Umberto Eco che, pubblicato nel 1980, ha ottenuto un considerevole successo editoriale. Dedico queste parole a chi si sta dannando l'anima per trovare un senso a Il codice da Vinci.
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