lunedì 29 agosto 2011

Bar: dentro & fuori

Ho fatto pochissima "vita da bar", preferendo frequentare, tempo fa, l'oratorio.
Ma trovo che questo pezzo di Ilvo Diamanti, su La Repubblica di oggi, possa davvero offrire spunti interessanti.
Ai miei tempi (...) i bar erano luoghi e centri sociali. Ci passavi le sere. Le domeniche. Uscivi di casa e andavi là, dove incontravi gli amici. Il barista era una figura leader della formazione giovanile. Veniva dopo i genitori, gli insegnanti e gli amici stretti. Andavi al bar. Poi decidevi dove recarti. Al cinema, a una manifestazione, a una festa, a zonzo. E ci tornavi più tardi. Peró potevi anche scegliere di rimanere lì. Di passarci la sera a giocare a biliardo, a calcetto, a carte. A bere, chiaccherare, tirare tardi. E, comunque e soprattutto, la vita del bar si svolgeva inevitabilmente dentro. Dentro. Il bar, come ho detto, era un luogo e un centro sociale in sè. E, in particolare, "un" bar. Dove si trascorreva gran parte del tempo libero.
Ora non è più così. Basta girare per le città per vedere che i giovani si ammassano "fuori". Davanti e intorno al bar. Occupano uno spazio ampio, variabile. Il marciapiede, l'intera strada (...).
I bar. Sono divenuti stazioni di passaggio di una vita itinerante. Di una generazione itinerante, sempre in movimento, sempre in viaggio. Perché costretta - o meglio, indotta - a vivere un eterno presente. Precario. Una generazione di passaggio. Alla ricerca di un luogo dove fermarsi, finalmente. Tra un bar e l'altro.
E, questo articolo, fa venir voglia di rileggere Bar Sport di Stefano Benni.

martedì 23 agosto 2011

martedì 16 agosto 2011

Scampoli #2

Ecco perché il cittadino virtuoso che si applicasse veramente e che vivesse per l'interesse generale, non ne ricaverebbe per sé un magro vantaggio, perché non solo vivrebbe così in un modo più umano conformemente alla sua natura ma, per di più, si renderebbe, per quanto possibile, simile alle specie più perfette di lui. Inoltre preserverà meglio i suoi affari privati se anteporrà ad essi l'interesse generale e non questi all'interesse generale; infatti quando gli affari pubblici sono ben organizzati, allora sia questi che quelli privati sono di natura tale da essere perfettamente salvaguardati; ma quando ciò che è privato si separa dall'interesse generale, sono entrambi distrutti.

Pletone, Trattato delle virtù, 11

Scampoli

C'è nelle scuole una linea didattica che ha ad una estremità la situazione tipica da liceo classico (che io chiamo l'obitorio della scuola italiana): un insegnante che parla per cinque ore, una classe in silenzio. Quando mia figlia se ne lamenta e io le chiedo «tu che fai?» lei risponde «ma io non ascolto».
C. Melazzini, Insegnare al principe di Danimarca, pag. 66