Si alzò in anticipo per passare alla botteguccia in fondo alla via. Saltò la colazione. Era già davanti alla porta prima che arrivasse l’orologiaio.
«Che cosa ti serve, figliolo?» chiese il vecchietto mentre apriva e lo faceva entrare.
«Questo orologio va indietro», spiegò il giovane. Era un vecchio orologio con carica a molla automatica, si alimentava con i movimenti del braccio. Era fermo perché lo teneva da mesi fermo nel cassetto.
«Vuoi dire che resta indietro», lo corresse il vecchietto esaminandolo. Lo agitò con delicatezza per farlo partire.
«No, va indietro», insisté il giovane.
«Vuoi dire che resta indietro», lo corresse il vecchietto esaminandolo.
«Questo orologio va indietro», spiegò il giovane.
«Che cosa ti serve, figliolo?» chiese il vecchietto mentre apriva e lo faceva entrare.
Era già davanti alla porta prima che arrivasse l’orologiaio.
Saltò la colazione.
Si alzò in anticipo per passare alla botteguccia in fondo alla via.
da: Tullio Dobner, “I libri che perdevano le parole” – racconti, Sperling & Kupfer 2000, pag. 121
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