martedì 28 settembre 2010

Discutendo dei prodigi della retorica

Segnalo che nella cartella di quarta, rinnovata, compaiono due bei pezzi (lessico giornalistico, s'intende...) che evidenziano significativamente come grazie alle parole ci si può arrampicare sui vetri o sbeffeggiare una "vittima"...

venerdì 17 settembre 2010

30 anni fa...






Presentando a genitori ed alunni delle prime, in questi giorni, il percorso scolastico che sta per iniziare, con un qualche sforzo mi sono riappropriato della "vecchia" terminologia: tornano anche a Treviglio, "ai Salesiani", la IV e la V ginnasio, dato che la sperimentazione se ne va progressivamente in soffitta e che la denominazione del "nuovo" liceo riprende un che dell'aulica tradizione.
Poi faccio quattro conti e, se è vero che dovremmo organizzare coi compagni di un tempo il ritrovo a 25 anni dalla maturità, per chi, come me, ha avuto un percorso "lineare" significa che sono trascorsi trent'anni dall'inizio di quella avventura... Giro su Facebook e ritrovo in serie le foto della mia classe (non usava ancora appenderle nei corridoi...); aver fatto 4/5 giorni di assenza in tutto il quinquennio (di cui tre per i "tre giorni" della selezione militare, come si usava ai tempi...) ha garantito che fossi presente al momento dello scatto. Lascio agli album di Facebook i commenti alle singole foto; per me è un piacere rivederle in questi giorni in cui sta iniziando di nuovo un anno scolastico; qui, tutte in fila, mi fanno ripensare con un po' di nostalgia a quei momenti. Ho la fortuna di esserci rimasto, a scuola, e di aver condiviso e poter condividere da prof con altri alunni (in genere, evitando le foto di classe...) tanti momenti, talvolta essendomi sentito una sorta di compagno di classe molto molto cresciuto. Scrive Domenico Starnone, autore che di scuola se ne intende, che «tra tutti i ripetenti, l'insegnante è il più ripetente di tutti»; credo sia vero, e credo anche che possa essere piacevole, questa ripetenza sempre rinnovata.

giovedì 9 settembre 2010

Sulle unità orarie da 60 (nooo!), 55 e 50 minuti

Contattato in questi giorni da alcuni alunni sulle modifiche all’orario scolastico, cerco di rispondere in breve alle domande di chiarimento che mi sono pervenute.
La scansione oraria di quest’anno tiene conto di alcuni vincoli:
1) l’avvio delle classi “riformate”, in cui il carico orario è ben diverso rispetto agli anni precedenti e che devono convivere con chi è già al secondo, terzo, quarto o quinto anno;
2) la volontà di non imbarcarsi nella logica del “passiamo tutte le ore a 60 minuti”, come è successo in molte scuole, che avrebbe comportato la necessità di rientri pomeridiani per tutti, viste le 33 ore settimanali di lezione;
3) l’intenzione di evitare lezioni al pomeriggio, anche per il professionale, così da dedicare questi tempi allo studio o ai corsi integrativi
4) l’obbligo di rispettare, nell’anno e nel quinquennio, la quantità di ore che la normativa (resa più stringente in termini di rispetto delle “ore da 60 min…”) prevede perché il corso possa essere conforme alle richieste.
Abbiamo cercato di cambiare il meno possibile e di impattare sulla prassi consolidata nella misura più dolce; la sesta ora del mercoledì consente di chiudere il quadro delle 29 ore al venerdì e di liberare le prime liceo; le cinque e quattro unità orarie del sabato a 55’ permettono di “recuperare” minuti preziosi che per garantire il monte ore annuale; la settimana scolastica si “alleggerisce” progressivamente, almeno in termini quantitativi, sul finire della settimana, dando modo di operare – si spera – un più efficace recupero per la successiva.
Non è l’orario perfetto, di sicuro, ma crediamo sia la soluzione più vicina alla prassi di questi anni (caratterizzati dalla "scuola lunga", con le 33, 34 o 36 ore che si potevano affrontare solo con "unità orarie" da 50', a meno di voler portare la brandina a scuola...) e, al contempo, rispettosa di tutti i vincoli imposti. Il confronto e la pratica durante quest’anno ci permetteranno di verificare i correttivi da apportare per il futuro.

Chi abbandona è abbandonato

Senza maestri che appassionino restano le «vogliuzze»

«Tutti vogliono le stesse cose, tutti sono eguali. Una vogliuzza per il giorno e una per la notte: salva restando la salute. "Noi abbiamo inventato la felicità" – dicono e strizzano l’occhio. Io ho conosciuto persone nobili che hanno perduto la loro speranza più elevata. E da allora calunniano tutte le speranze elevate. Da allora vivono sfrontatamente di brevi piaceri e non riescono più a porsi neppure mete effimere. Perciò hanno spezzato le ali al loro spirito: che ora striscia per terra e contamina ciò che rode... Ma, ti scongiuro: mantieni sacra la tua speranza più elevata!». A leggere queste parole di Nietzsche si rimane sbalorditi: aveva previsto la chiusura della mente borghese e la sua rinuncia alla vita.

Nessun uomo è un’isola e, parafrasando il poeta, si può dire lo stesso di uno studente che abbandona la scuola. Se abbandona, non fallisce lui solo, ma la scuola come relazione: genitori-insegnanti-studenti. I dati parlano chiaro, negli ultimi cinque anni uno studente su tre dell’ultimo quinquennio non arriva al diploma; nell’ultimo anno il 20% ha abbandonato il liceo e il 44% gli istituti professionali. La scuola dovrebbe essere, attraverso la cultura e il lavoro manuale, un trampolino di lancio per la scelta professionale più adeguata. Quello che posso dire, da professore, è che molti abbandonano perché la scuola appare loro inutile per ciò che vogliono essere e fare nella vita.

Durante un’estate da liceale squattrinato lavoravo in un cantiere come aiuto di un manovale: «Sei fortunato – mi ripeteva – perché puoi studiare: se potessi, io tornerei indietro». La scuola dell’obbligo non obbliga a rimanerle fedele perché non riesce a obbligarti: solo gli amori veri e grandi "obbligano" alla fedeltà. I ragazzi che si disperdono spesso non hanno trovato docenti in grado di appassionarli. Eppure la scuola dovrebbe essere un "andare a bottega": scoperta e incoraggiamento dei talenti personali per opera di maestri. Ho incontrato, con l’occasione del mio primo libro, studenti di tutte le città e percorsi. Ho trovato ragazzi di istituti tecnici affamati di letture, ben sapendo che avrebbero fatto l’elettricista, l’idraulico, l’informatico. Tutto merito di professori appassionati ai loro alunni, capaci di accendere nei ragazzi, attraverso la cura del pezzo di mondo loro affidato, lo sguardo su una vita più grande, più piena, più ricca.

Molti ragazzi abbandonano perché tanto un lavoro si trova: si guadagna subito e si realizza l’orizzonte ristretto delle «vogliuzze». Manca loro uno sguardo di più lunga gittata. Gli adulti descritti da Nietzsche riescono a spegnere quello sguardo, perché hanno rinunciato loro stessi a una vita più grande. Anche loro si accontentano del tutto e subito. Se i ragazzi non leggono libri, è perché gli adulti accendono la tv, invece di prendere in mano un libro. Se i ragazzi abbandonano la scuola, è perché gli adulti della scuola non sono interessati a loro. La crisi dei giovani è crisi di maestri. Io conosco centinaia di maestri capaci di provocare la nostalgia del futuro, provocando (chiamandole alla luce) le risorse migliori degli studenti. Di contro ci sono docenti che odiano i loro studenti, li umiliano e condannano all’abbandono, non solo della scuola, ma di sé stessi.

Nietzsche sferzava i benpensanti che trasformavano la felicità in vogliuzze e benessere, gli stessi che hanno criticato queste parole: «Allo stesso tempo la gioventù rimane comunque l’età in cui si è alla ricerca della vita più grande. Se penso ai miei anni di allora: semplicemente non volevamo perderci nella normalità della vita borghese. Volevamo ciò che è grande, nuovo. Volevamo trovare la vita stessa nella sua vastità e bellezza». Le ha pronunciate Benedetto XVI, qualche giorno fa. Nietzsche e il Papa sembrano d’accordo. Esiste un terreno sul quale la scuola sta mancando e non è questione di ideologie, ma di amore all’uomo. Nella scuola è dei docenti – alleati ai genitori – il compito di trasmettere una vita più grande e nuova attraverso le loro ore di lezione.
Alessandro D’Avenia su L'Avvenire dell'8 settembre 2010