domenica 3 novembre 2013

Commemorazione Ufficiale - Treviglio, 4 novembre 2013

“Mi piace” e “Condividi”.
Per chi utilizza i social network, e Facebook in particolare, questi sono due pulsanti molto conosciuti. Sono entrati poco alla volta nelle nostre vite, inizialmente con la diffidenza di molti, ed oggi sembrano essere il grande business della rete 2.0.
Il “mi piace” ci permette di esprimere un apprezzamento immediato a una notizia, un evento, uno stato, un’immagine, una comunicazione: siamo vicini a chi ha scritto, postato, taggato qualcosa e diciamo un “ci sono anch’io”, “sappi che la penso allo stesso modo”, “mi hai coinvolto”.
Il passo ulteriore, che ci impegna un po’ di più è il pulsante “condividi”: oltre a essere vicini, pubblicamente, con il nostro apprezzamento, ci prendiamo l’impegno di promuovere quella stessa notizia, evento, stato, immagine o comunicazione e diventiamo, con le risorse che ci sono messe a disposizione, diffusori e sponsor di quanto intendiamo condividere.
Magari il “mi piace” e il “condividi” durano lo spazio di un momento; capita che ci dimentichiamo in fretta di quell’apprezzamento e di quella condivisione, così vera nel momento in cui clicchiamo sul pulsante, così facile ad essere dimenticata se non profondamente vissuta.
Quella di oggi, nei pro e nei contro che ciò può comportare, non è una cerimonia “2.0”: non si tratta di essere presenti per esprimere un virtuale “mi piace” o “condividi”. Si tratta invece di ripercorrere nella memoria – sempre più lontana e per questo sempre più in pericolo – tratti di strade, storie, vicende, tempi e luoghi che sono depositati in un ricordo ancora vivo, nonostante il tempo o forse, proprio perché sfidato dal tempo.
Mi domando spesso se oggi, pur nelle mutatissime condizioni in cui ci troviamo a vivere, saremmo in grado di compiere scelte così radicali e così forti come quelle di coloro di cui oggi facciamo memoria; è difficile, impossibile, dare una risposta sicura; interpretare però i segnali che giorno per giorno lasciamo come traccia del nostro passaggio può essere d’aiuto.
Ho letto con vero interesse, lo scorso 25 ottobre, questa lettera di una giovane ragazza 22enne studentessa di medicina, Gaia Pedicini, indirizzata alla rubrica “Per posta” de Il Venerdì di Repubblica:
Oggi ero alla stazione e aspettavo un treno per tornare a casa che portava la solita mezz'ora di ritardo. Guardavo il gruppo di studenti che era con me, tutti stanchi, tutti più o meno sorridenti, abbastanza pazienti e rassegnati e improvvisamente credo di aver capito che cosa abbiamo noi giovani italiani che non va: siamo abituati alle cose che non funzionano bene. Ci abbiamo fatto il callo, è la nostra normalità. Ci sorprendiamo quando un treno o un autobus arrivano in orario, nella stessa misura in cui riteniamo una gran botta di culo (mi si perdoni l’espressione) trovare un lavoro dignitoso al termine di un percorso di studi. Ci stupiamo per piccole cose: se uno sconosciuto è gentile con noi, se una lettera spedita arriva a destinazione in un tempo ragionevole, se un professore risponde a una mail entro un paio di giorni.  Alzare le spalle pensando «è così che funziona» non è uno stimolo a essere persone migliori, anzi se possibile ci rende molto autoindulgenti quando siamo peggiori di come potremmo e dovremmo essere. Sono ancora abbastanza idealista da credere che sia il piccolo miglioramento individuale di ciascuno a costruire un miglioramento collettivo.
E chiude con un’amarissima constatazione:
Il problema è che le nostre aspettative sono basse, perché ci siamo abituati a pretendere poco sia dalla realtà che ci circonda, sia da noi stessi, e il nostro impegno a poco a poco è diventato proporzionato alle nostre aspettative.
C’è davvero da apprezzare la lucidità dell’analisi, che contribuisce a dare una risposta alla domanda che ci stavamo ponendo, ma c’è anche da riflettere sulla necessità che obiettivi alti, missioni difficili ed imprese complesse possano e debbano tornare a costituire l’orizzonte di riferimento della nostra azione all’interno della comunità civile.
Se penso quindi alla situazione della Grande Guerra, al carico di ideali e di passione che tanti italiani hanno saputo individuare nel loro agire e – come abbiamo avuto modo di vedere anche negli scorsi anni e nelle parole di chi mi ha preceduto – come tutta la nostra Città abbia saputo condividere lo sforzo bellico, nella solidarietà ai più deboli e bisognosi, ecco, se penso a questi fatti trovo non tanto i limiti quanto il vantaggio del fatto che questa non sia una cerimonia “2.0”. Non si tratta, infatti, di contrapporre modernità a memoria, presente e tecnologia a passato e arretratezza, ma di cogliere dalla riflessione attenta, anche nell’oggi, le possibilità, i valori, gli esempi di un tempo, in grado di essere modello di azione e stimolo alla possibilità di tornare a nutrire grandi aspettative, come hanno saputo fare coloro che ci hanno preceduto.
Noi rischiamo di accendere e spegnere il computer o lo smartphone quasi con la stessa facilità, sembra ricordarci la giornata di oggi, con cui accendiamo o spegniamo la nostra capacità di essere in grado di vivere grandi speranze impegnandoci, insieme agli altri, per raggiungerle e renderle conquiste comuni, per cui con-gioire e con-vivere.
Alle autorità civili, militari, religiose, al delegato del sindaco di Casirate d’Adda, ai rappresentanti delle associazioni combattentistiche e d’arma, agli studenti ed ai docenti, ai referenti di gruppi, enti ed associazioni che operano a Treviglio e per i trevigliesi, a tutti coloro che qui oggi partecipano alla commemorazione, un ringraziamento sincero.
Se torniamo a casa, stamattina, con un pensiero in più di riconoscenza e di ringraziamento, possiamo condividerlo con gli altri nello spirito di dedizione ed impegno che tutti coloro che sono caduti in tutte le guerre per la nostra libertà ci hanno saputo mostrare.
Noi possiamo rendere oggi questo evento, liberato dal rischio di un passato che lo offuschi, un momento vitale: il nostro “mi piace” ed il nostro “condividi” non si fermano pertanto nelle pagine di un social network ma diventano concreta ed attiva azione quotidiana se nel nostro agire riportiamo in vita attese, aspettative, passione, dedizione e sacrificio di coloro di cui oggi facciamo memoria, proprio perché oggi – e come ogni giorno, se ci impegniamo a seguirli – è la loro e la nostra festa, una solennità della quale – nella dimensione della ordinaria quotidianità – avremo il piacere di dire “mi piace” e “condivido”.
Viva l’Italia!

giovedì 8 agosto 2013

Elogio della biblioteca

L'intervento di Pulsatilla, blogger autrice del volume "La ballata delle prugne secche" (ne avevo scritto appena uscito...), che dipinge un quadro sincero e realistico dell'esperienza della frequentazione della biblioteca.
Da leggere.

lunedì 1 aprile 2013

Confronti

Gli italianisti storceranno il naso ma la curiosità mi rimane: c'è chi si è letto con attenzione "I Malavoglia" di Verga e "Il seggio vacante" di J. K. Rowling che abbia tentato di paragonare la vita di Aci Trezza con quella di Pagford?
Ci trovo dinamiche estremamente vicine e a tratti inquietanti.
Mi tengo lo spunto per qualche "tesina" da maturità...