Karol Wojtyla, da La speranza che va oltre la fine (1975)
4.
Ma la morte è un'esperienza finale,
Ed ha sapore d'annientamento -
Con la speranza le strappo il mio «io», glielo devo strappare,
Superare così l'annientamento...
Allora, d'intorno, si levano grida, si leveranno di nuovo:
«Sei pazzo, Paolo, sei pazzo!»
ed ecco contro me stesso
e contro una moltitudine combatto per la mia speranza -
in me non la sostiene
nessuno strato di memoria,
nello specchio in cui tutto passa non trova un riflesso
ma soltanto nel Tuo Passaggio pasquale,
a cui si lega l'iscrizione più profonda del mio essere.
5.
E così m'iscrive in Te la mia speranza,
Fuori di Te non posso esistere -
Quando innalzo il mio «io» sopra la morte
Svellendolo da un suolo di sterminio,
Questo avviene
Perché esso sta in Te
Come nel Corpo
Che dispiega la sua potenza sopra ogni corpo umano
E rinnova il mio «io», cogliendolo da un suolo di morte
In figura diversa eppure tanto fedele,
Dove il corpo della mia anima e l'anima del mio corpo ritornano a
congiungersi
Fondando sulla Parola, per sempre, la vita fondata prima sulla terra,
Dimenticando ogni affanno, come al levarsi, nel cuore, d'un Vento improvviso
Al quale nessun uomo vivente può resistere
né le cime dei boschi, né in basso le radici che si fendono.
Il Vento mosso dalla Tua mano, ecco, diviene Silenzio.
6.
Gli atomi dell'uomo antico fanno compatta la gleba
Primordiale del mondo ch'io raggiungo con la mia morte,
Li innesto in me definitivamente
Per trasformarli nella Tua Pasqua che è il tuo PASSAGGIO.
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