"Mio nonno e mia nonna parlavano molto volentieri di decessi.
Opsedali, obitori e tombe erano il loro caviale quotidiano. E poi le improvvise complicazioni renali, le fatalità cardiovascolari, tutta la lotteria del corpo umano.
Nel loro tinello effettuavano autopsie immaginarie sui corpi di remoti conoscenti alla ricerca delle vere cause, e litigavano screditando lumibari.
Per il resto, eccetto questa dialettica ospedaliera e mortuaria, si parlavano poco, non si facevano gli auguri di compleanno, mai bigliettini o cose da scartare.
Spesso li avevo sentiti vantarsi della loro sforuna. Dicevano, gongolando, che la malasorte li teneva nel mirino.
Il fatto è che non erano predisposti alla felicità. E la felicità, a scanso di equivoci, li evitava."
L'incipit del romanzo "Vent'anni che non dormo", di Marco Archetti (Feltrinelli, 2005), non lascia sperare molto bene. L'ultima di copertina*, invece, sì.
Vi farò sapere.
*"Chiara aveva un debole. Per chiunque."
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