venerdì 30 settembre 2005

Non leggete quel romanzo


Tullio Avoledo recensisce "Haunted" ("Cavie"), l'ultimo romanzo di Chuck Palahniuk, su "Il giornale" del 14 settembre

quartane e quartani capiscano...




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La storia è questa: diciassette aspiranti scrittori, rispondendo a un annuncio apparso sui muri della loro città, accettano di passare tre mesi in completo isolamento. Palahniuk ci ha abituato a personaggi bizzarri, ma in questo libro si è davvero scatenato. Dall’ospite Mr. Whittier alla sua assistente Mrs. Clark, allo scheletrico Saint Gut-Free, a Miss America, Sister Vigilante e Lady Baglady, i personaggi sono un catalogo di comportamenti assurdi e bizzarre biografie, mano a mano vengono svelate dai loro racconti. Quello che hanno in comune è la volontà di affrancarsi, attraverso il successo letterario, dalle loro vite. L’isolamento di tre mesi dovrebbe consentire loro di trovare la creatività, la libertà, il successo. Una specie di «Grande Fratello» letterario, insomma.

L’inizio del libro è fulminante: un autobus passa di notte attraverso una città deserta - sinistro come l’autobus Nottetempo del film Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban - per raccogliere quelle che ancora non sanno di essere le cavie di un esperimento. Gli aspiranti scrittori salgono, portandosi dietro il loro bagaglio: uno solo a persona, come specificato nell’annuncio, sinistra (e certo non casuale) eco delle istruzioni dei nazisti ai deportati nei campi di sterminio. La loro meta è un fatiscente teatro in una zona abbandonata della città, dove vengono accolti dal loro anfitrione e mentore, Mr. Whittier, un vecchio (forse, ma non è detto...) immobilizzato in una sedia a rotelle. Alzi la mano chi non ha pensato al film Invito a cena con delitto. Difficile non visualizzare Mr. Whittier come Truman Capote (soprattutto dopo aver letto il finale).

Ben presto la sistemazione ideale per scrivere si rivela per quello che è: una trappola. La cucina da gourmet che era stata promessa è in realtà a base di immondi cibi disidratati, e dal teatro è impossibile uscire. Le finestre sono murate, le porte sprangate. Ma fuggire di lì non rientra certo fra le priorità degli aspiranti scrittori, che hanno in mente solo il miraggio del successo: le interviste, i talk show, Hollywood. La scrittura non è un obiettivo, ma un mezzo per raggiungere la fama. Pur di farcela sono disposti a ogni bassezza, a ogni sacrificio. Presto si inventano il film della loro prigionia e del loro salvataggio, e arrivano a vedersi come protagonisti di quel film, a immaginare gli attori che interpreteranno i loro ruoli e calcolare le quote per la divisione degli incassi, quote sempre più alte a mano a mano che gli scrittori cominciano a morire.

Perché ben presto il teatro diventa un mattatoio. In un delirio suicida i segregati sabotano l’impianto di riscaldamento, le lavatrici, le toilette. Distruggono le scorte di cibo. Spaccano tutte le lampadine. Scelgono di patire il freddo, la sporcizia e la fame, fino a diventare protagonisti di una tragedia elisabettiana. Si vestono con sgargianti e polverosi costumi di scena, inzuppati dal sangue delle loro automutilazioni. Tutto pur di rendere più interessante e cinematografica la loro segregazione. In poco tempo la loro situazione si fa intollerabile. E i loro racconti riflettono l’abisso in cui precipitano: omicidi, atti di sadismo, episodi di antropofagia... Finché non scoprono con terrore di non essere i primi: altri prima di loro hanno affrontato quell’ordalia. Altri che forse non sono mai tornati.

Bisogna avere lo stomaco forte per affrontare questo libro.
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