mercoledì 15 giugno 2005

Leggere e scrivere per uscire di prigione

Ieri, alle 23.23 la domanda:
"io ancora nn ho capito cos'è la letteratura...";
si può dire al tuo prof di italiano, dopo un anno di lezioni, una roba simile?

e il tuo prof, tirandosela un po' (ed inarcando la bocca nel "tipico" risolino che, stavolta, si ferma allo schermo del pc) con un'espressione del tipo "non l'avrei detto, visto il prof che hai avuto quest'anno", può dirti, avendo saputo che hai appena preso una scoppola sentimentale: "la tua storia, ragionata, riflettuta, passata col colino e col setaccio, scritta (e non buttata giù alla cazzo, come spesso fai) è letteratura"?
e poi
"in bieca (e becera) sintesi la letteratura è comunione di passioni"? (e tiratina finale - con annesso sorrisino - del prof "e qui sdottoreggio un po'")

finale falso:
ma quanto se la tira il prof

finale semifalso:
com'è difficile fare il prof

finale vero:
«scriviamo per rendere possibile al mondo non scritto di esprimersi attraverso di noi... dall’altro lato delle parole c’è qualcosa che cerca di uscire dal silenzio, di significare attraverso il linguaggio, come battendo colpi su un muro di prigione» Italo Calvino
questa è letteratura

PS1: viviamo meglio le nostre storie se leggiamo quelle degli altri?
PS2: e la prigione di cui parla Calvino siamo, a volte, noi per noi stessi?
PS3: grazie a chi mi aiuta a pensare

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