lunedì 24 marzo 2008

Vite di scarto

Si parlava due settimane fa, in quarta, di politiche dell'immigrazione.
Questo passo, tratto dalla pag. 72 di Vite di scarto di Zygmunt Bauman (Laterza, 2005), può essere un ulteriore spunto di riflessione.
Si noti che gli immigrati si adattano allo scopo assai meglio di qualsiasi altra forma di cattivi, veri o presunti. Vi è una specie di «affinità elettiva» fra gli immigrati (i rifiuti umani di regioni remote scaricati nei «nostri cortili») e le meno sopportabili fra le paure che costruiamo in casa nostra. Quando tutti i posti di lavoro sono precari e considerati non più sicuri, la vista degli immigrati è come il sale sulle piaghe. Gli immigrati, ed in particolare quelli arrivati da poco, emanano il leggero tanfo di discarica che, nelle sue varie versioni, turba i sonno delle future vittime dell'accresciuta vulnerabilità. Per chi li odia e li attacca, gli immigrati incarnano – in modo visibile, tangibile, nel corpo– il presentimento inespresso, ma penoso e doloroso, della loro stessa smaltibilità. Si sarebbe tentati di dire che, se non ci fossero immigrati che bussano alle porte, bisognerebbe inventarli... perché offrono ai governo un ideale «altro deviante», un bersaglio quanto mai gradito per le «tematiche scelte con cura su cui impostare le loro campagne».

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