Nella cartella di quinta inizia a sedimentarsi il materiale per la redazione di argomenti strutturati, schemi ragionati e mappe concettuali per avviare i colloqui. Disponibili, da oggi:
1) un file con le indicazioni operative, la "distinzione" delle singole tipologie di lavoro ed alcuni consigli pratici e redazionali
2) un file con alcune indicazioni specifiche per la predisposizione d mappe concettuali
3) due esempi di "schemi ragionati" cui sono particolarmente affezionato (Fantozzi e Simpson).
Altro materiale in arrivo a breve; avviserò appena lo avrò aggiunto.
a margine delle attività che si fanno in classe (ma non solo) · integrabile ed integrato con facebook & il sito-deposito
martedì 29 marzo 2011
domenica 20 marzo 2011
Vedere di più, sentire di meno
Una delle tendenze della nostra epoca è di usare la sofferenza dei bambini per screditare la bontà di Dio, e una volta screditata la sua bontà, aver chiuso il conto con Lui. Gli Alymer che Hawthorne vedeva come una minaccia si sono moltiplicati. Occupati nel rimuovere l'imperfezione umana stanno facendo progressi anche riguardo alla materia prima del bene. Ivan Karamazov non può credere finché ci sia un solo bambino che soffre; l'eroe di Camus non può accettare la divinità di Cristo per via del massacro degli innocenti. In questa pietà popolare si guadagna in sensibilità e si perde in visione. Se sentivano meno, altre epoche vedevano di più, anche se vedevano con l'occhio cieco, profetico, insensibile dell'accettazione, vale a dire della fede. Ora in assenza di questa fede siamo mossi dalla tenerezza. Una tenerezza che da tempo, staccata dalla persona di Cristo, è avvolta nella teoria. Quando la tenerezza è separata dalla sorgente della tenerezza, la sua logica conseguenza è il terrore. Finisce nei campi di lavoro forzato e nei fumi delle camere a gas.
Flannery O'Connor, Un ricordo di Mary Ann, Milledgeville Georgia, 8 dicembre 1960 in Il volto incompiuto - Saggi e lettere sul mestiere di scrivere, pag.99-100
martedì 1 marzo 2011
La predominanza del bianco
Leggiamo in quinta un articolo sull'importanza degli spazi bianchi nella produzione libraria del nostro paese.
Una prospettiva nuova, per considerare anche il non-scritto come spazio di comunicazione, davvero importante.
Una prospettiva nuova, per considerare anche il non-scritto come spazio di comunicazione, davvero importante.
domenica 27 febbraio 2011
Opinioni...
«Il male non è che tutti oggi possano dire la loro, si esprimano, trovino uno spazio per affermare le loro idee; il male è che tutti siano parimenti trattati da competenti, e che tutto quel che ognuno dice sia parimenti giudicato valido, buono, degno. Il messaggio che passa è che tutti i giudizi, le idee, i pareri, le domande, le risposte, le richeste, le analisi, le barzellette... sono sullo stesso piano.
Tutti parlano, beati di poter parlare. Nessuno si chiede se quel che sta per dire abbia un senso o una sua ragione per essere detto. E, d'altra parte, nessuno giudica più chi parla, né funge minimamente da filtro. È come se nel mondo se ne fossero andati tutti, ma avessero lasciato milioni e milioni di microfoni. Una specie di landa desolata, una terra piatta desertificata, irta di esili steli neri: un immenso, smisurato deserto di microfoni. E voci che si sprigionano, senza più nessuno dietro, libere ma tragicamente sole, sperdute. Nessuno che dia la parola a nessuno, ma tutti che se la prendono.
Si parla. Si parla anche se non si ha niente da dire. Forse si parla soltanto per poter dire: ce l'abbiamo fatta a parlare anche noi, a entrare in quei luoghi che una volta erano così sacri (la radio o la tivù) e che oggi lo sono ancora ma in un altro modo, in quanto luoghi pubblici, mezzo di comunicazione e quindi cassa di risonanza, palco, scena ideale per mettersi in mostra, apparire, esserci».
(P. Mastrocola, Togliamo il disturbo, p. 91)
Un passo di una attualità e di una verità sconcertanti, per quanto mi riguarda...
domenica 20 febbraio 2011
Nativi digitali: due parole per pensare
Per il post numero 1101 di questo blog, l'articolo di Paolo Ferri "I nativi digitali, una razza in via di evoluzione".
Pubblicato nelle pagine 146-153 di Tirature '11, dà interessanti spunti di riflessione per chi, come un prof, ha a che fare con le giovani generazioni e se ne dispone, etimologicamente, all'e-ducazione.
Pubblicato nelle pagine 146-153 di Tirature '11, dà interessanti spunti di riflessione per chi, come un prof, ha a che fare con le giovani generazioni e se ne dispone, etimologicamente, all'e-ducazione.
domenica 13 febbraio 2011
Cambiare paradigmi...
È geniale questo video; una riflessione davvero interessante su cosa è la scuola, come s'è sviluppata e quali sfide le si propongono.
Il miglior augurio per i sei anni di questo blog, da condividere con i lettori che ancora passano di qui. Perché per la scuola 2.0 è questa la direzione da imboccare...
martedì 1 febbraio 2011
Quando la maturità rende...
Segnalo il bando di concorso disponibile a questo link, che premia "tesine" sul ciclismo in genere e sulle figure sportive ed umane dei fratelli Coppi Fausto e Serse. Un'occasione per pensarci...
mercoledì 26 gennaio 2011
La quercia del Tasso (di Achille Campanile)
Quell'antico tronco d'albero che si vede ancor oggi sul Gianicolo a Roma, secco, morto, corroso e ormai quasi informe, tenuto su da un muricciolo dentro il quale è stato murato acciocché non cada o non possa farsene legna da ardere, si chiama la quercia del Tasso perché, avverte una lapide, Torquato Tasso andava a sedervisi sotto, quand'essa era frondosa.
Anche a quei tempi la chiamavano così.
Fin qui niente di nuovo. Lo sanno tutti e lo dicono le guide.
Meno noto è che, poco lungi da essa, c'era, ai tempi del grande e infelice poeta, un'altra quercia fra le cui radici abitava uno di quegli animaletti del genere dei plantigradi, detti tassi.
Un caso.
Ma a cagione di esso si parlava della quercia del Tasso con la "t" maiuscola e della quercia del tasso con la "t" minuscola. In verità c'era anche un tasso nella quercia del Tasso e questo animaletto, per distinguerlo dall'altro, lo chiamavano il tasso della quercia del Tasso.
Alcuni credevano che appartenesse al poeta, perciò lo chiamavano "il tasso del Tasso"; e l'albero era detto "la quercia del tasso del Tasso" da alcuni, e "la quercia del Tasso del tasso" da altri.
Siccome c'era un altro Tasso (Bernardo, padre di Torquato, poeta anch'egli), il quale andava a mettersi sotto un olmo, il popolino diceva: "E' il Tasso dell'olmo o il Tasso della quercia?".
Così poi, quando si sentiva dire "il Tasso della quercia" qualcuno domandava: "Di quale quercia?".
"Della quercia del Tasso."
E dell'animaletto di cui sopra, ch'era stato donato al poeta in omaggio al suo nome, si disse: "il tasso del Tasso della quercia del Tasso".
Poi c'era la guercia del Tasso: una poverina con un occhio storto, che s'era dedicata al poeta e perciò era detta "la guercia del Tasso della quercia", per distinguerla da un'altra guercia che s'era dedicata al Tasso dell'olmo (perché c'era un grande antagonismo fra i due).
Ella andava a sedersi sotto una quercia poco distante da quella del suo principale e perciò detta: "la quercia della guercia del Tasso"; mentre quella del Tasso era detta: "la quercia del Tasso della guercia": qualche volta si vide anche la guercia del Tasso sotto la quercia del Tasso.
Qualcuno più brevemente diceva: "la quercia della guercia" o "la guercia della quercia". Poi, sapete com'è la gente, si parlò anche del Tasso della guercia della quercia; e, quando lui si metteva sotto l'albero di lei, si alluse al Tasso della quercia della guercia.
Ora voi vorrete sapere se anche nella quercia della guercia vivesse uno di quegli animaletti detti tassi.
Viveva.
E lo chiamarono: "il tasso della quercia della guercia del Tasso", mentre l'albero era detto: "la quercia del tasso della guercia del Tasso" e lei: "la guercia del Tasso della quercia del tasso".
Successivamente Torquato cambiò albero: si trasferì (capriccio di poeta) sotto un tasso (albero delle Alpi), che per un certo tempo fu detto: "il tasso del Tasso".
Anche il piccolo quadrupede del genere degli orsi lo seguì fedelmente, e durante il tempo in cui essi stettero sotto il nuovo albero, l'animaletto venne indicato come: "il tasso del tasso del Tasso".
Quanto a Bernardo, non potendo trasferirsi all'ombra d'un tasso perché non ce n'erano a portata di mano, si spostò accanto a un tasso barbasso (nota pianta, detta pure verbasco), che fu chiamato da allora: "il tasso barbasso del Tasso"; e Bernardo fu chiamato: "il Tasso del tasso barbasso", per distinguerlo dal Tasso del tasso.
Quanto al piccolo tasso di Bernardo, questi lo volle con sé, quindi da allora quell'animaletto fu indicato da alcuni come: il tasso del Tasso del tasso barbasso, per distinguerlo dal tasso del Tasso del tasso; da altri come il tasso del tasso barbasso del Tasso, per distinguerlo dal tasso del tasso del Tasso.
Il comune di Roma voleva che i due poeti pagassero qualcosa per la sosta delle bestiole sotto gli alberi, ma fu difficile stabilire il tasso da pagare; cioè il tasso del tasso del tasso del Tasso e il tasso del tasso del tasso barbasso del Tasso.
Anche a quei tempi la chiamavano così.
Fin qui niente di nuovo. Lo sanno tutti e lo dicono le guide.
Meno noto è che, poco lungi da essa, c'era, ai tempi del grande e infelice poeta, un'altra quercia fra le cui radici abitava uno di quegli animaletti del genere dei plantigradi, detti tassi.
Un caso.
Ma a cagione di esso si parlava della quercia del Tasso con la "t" maiuscola e della quercia del tasso con la "t" minuscola. In verità c'era anche un tasso nella quercia del Tasso e questo animaletto, per distinguerlo dall'altro, lo chiamavano il tasso della quercia del Tasso.
Alcuni credevano che appartenesse al poeta, perciò lo chiamavano "il tasso del Tasso"; e l'albero era detto "la quercia del tasso del Tasso" da alcuni, e "la quercia del Tasso del tasso" da altri.
Siccome c'era un altro Tasso (Bernardo, padre di Torquato, poeta anch'egli), il quale andava a mettersi sotto un olmo, il popolino diceva: "E' il Tasso dell'olmo o il Tasso della quercia?".
Così poi, quando si sentiva dire "il Tasso della quercia" qualcuno domandava: "Di quale quercia?".
"Della quercia del Tasso."
E dell'animaletto di cui sopra, ch'era stato donato al poeta in omaggio al suo nome, si disse: "il tasso del Tasso della quercia del Tasso".
Poi c'era la guercia del Tasso: una poverina con un occhio storto, che s'era dedicata al poeta e perciò era detta "la guercia del Tasso della quercia", per distinguerla da un'altra guercia che s'era dedicata al Tasso dell'olmo (perché c'era un grande antagonismo fra i due).
Ella andava a sedersi sotto una quercia poco distante da quella del suo principale e perciò detta: "la quercia della guercia del Tasso"; mentre quella del Tasso era detta: "la quercia del Tasso della guercia": qualche volta si vide anche la guercia del Tasso sotto la quercia del Tasso.
Qualcuno più brevemente diceva: "la quercia della guercia" o "la guercia della quercia". Poi, sapete com'è la gente, si parlò anche del Tasso della guercia della quercia; e, quando lui si metteva sotto l'albero di lei, si alluse al Tasso della quercia della guercia.
Ora voi vorrete sapere se anche nella quercia della guercia vivesse uno di quegli animaletti detti tassi.
Viveva.
E lo chiamarono: "il tasso della quercia della guercia del Tasso", mentre l'albero era detto: "la quercia del tasso della guercia del Tasso" e lei: "la guercia del Tasso della quercia del tasso".
Successivamente Torquato cambiò albero: si trasferì (capriccio di poeta) sotto un tasso (albero delle Alpi), che per un certo tempo fu detto: "il tasso del Tasso".
Anche il piccolo quadrupede del genere degli orsi lo seguì fedelmente, e durante il tempo in cui essi stettero sotto il nuovo albero, l'animaletto venne indicato come: "il tasso del tasso del Tasso".
Quanto a Bernardo, non potendo trasferirsi all'ombra d'un tasso perché non ce n'erano a portata di mano, si spostò accanto a un tasso barbasso (nota pianta, detta pure verbasco), che fu chiamato da allora: "il tasso barbasso del Tasso"; e Bernardo fu chiamato: "il Tasso del tasso barbasso", per distinguerlo dal Tasso del tasso.
Quanto al piccolo tasso di Bernardo, questi lo volle con sé, quindi da allora quell'animaletto fu indicato da alcuni come: il tasso del Tasso del tasso barbasso, per distinguerlo dal tasso del Tasso del tasso; da altri come il tasso del tasso barbasso del Tasso, per distinguerlo dal tasso del tasso del Tasso.
Il comune di Roma voleva che i due poeti pagassero qualcosa per la sosta delle bestiole sotto gli alberi, ma fu difficile stabilire il tasso da pagare; cioè il tasso del tasso del tasso del Tasso e il tasso del tasso del tasso barbasso del Tasso.
martedì 25 gennaio 2011
Concorso per studenti del triennio
Per la partecipazione all'annuale concorso promosso da CISL - FNP CISL - ANTEAS della zona di Treviglio la traccia per gli studenti del triennio delle superiori è la seguente:
«L'art. 4 della Costituzione sancisce che "La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto". La scuola, il governo, i sindacati devono fare la loro parte per promuovere l'accesso al lavoro dei giovani. Tu ti senti pronto ad affrontare insieme a questi attori il tuo futuro?».
Le positive esperienze degli anni scorsi inducono a sperare nel riconoscimento delle vostre fatiche e, magari, nella vincita di uno dei due premi da 260 euro previsti.
La consegna, via mail, a me è prevista per la fine di febbraio. Fatemi un cenno se intendete partecipare.
«L'art. 4 della Costituzione sancisce che "La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto". La scuola, il governo, i sindacati devono fare la loro parte per promuovere l'accesso al lavoro dei giovani. Tu ti senti pronto ad affrontare insieme a questi attori il tuo futuro?».
Le positive esperienze degli anni scorsi inducono a sperare nel riconoscimento delle vostre fatiche e, magari, nella vincita di uno dei due premi da 260 euro previsti.
La consegna, via mail, a me è prevista per la fine di febbraio. Fatemi un cenno se intendete partecipare.
lunedì 24 gennaio 2011
lunedì 17 gennaio 2011
Sonetti barocchi
I sonetti barocchi da leggere per mercoledì sono disponibili qui e nella cartella del "solito" magazzino.
sabato 15 gennaio 2011
sabato 1 gennaio 2011
«Non sai guardare perché non conosci i nomi.»
Nick Shay, il protagonista di Underworld, dialoga con il suo insegnante Padre Paulus, gesuita.
– Talvolta penso che l’educazione che dispensiamo qui sia più adatta a un cinquantenne che ha capito di aver mancato il bersaglio al primo giro. Troppe idee astratte. Verità eterne a destra e a sinistra. Ti servirebbe di più guardarti una scarpa e nominarne le parti. A te in particolare, Shay, visto da dove vieni.
Questo parve rianimarlo. Si sporse sopra la scrivania e fissò, letteralmente, i miei stivali bagnati.
– Sono oggetti orribili, vero?
– Sì senza dubbio.
– Nominami le parti. Coraggio. Qui non siamo così ricercati, non siamo così intellettualmente chic da non poter esaminare uno studente faccia a faccia.
– Nominare le parti, – dissi. – D’accordo. Stringhe.
– Stringhe. Una su ogni scarpa. Procedi.
Alzai un piede e lo girai goffamente.
– Suola e tacco.
– Sì, continua.
Posai di nuovo il piede a terra e fissai lo stivale, che mi parve inespressivo quanto uno scatolone chiuso.
– Procedi, ragazzo.
– Non c’è molto da nominare, le pare? Un davanti e un dietro.
– Un davanti e un dietro. Mi fai venire voglia di piangere.
– La parte arrotolata sul davanti.
– Sei talmente eloquente che devo fare una pausa per riavermi. Hai nominato le stringhe. Come si chiama il lembo sotto le stringhe?
– La linguetta.
– Be’?
– Il nome lo sapevo, soltanto che non l’avevo vista.
Padre Paulus fece il suo piccolo numero, buttandosi a corpo morto sulla scrivania e sussultando lievemente come se fosse in preda a una terribile angoscia.
– Non l’hai vista perché non sai guardare. E non sai guardare perché non conosci i nomi.
Tentennò il capo come per rimproverarmi aspramente, con un gesto teatrale, e si ritrasse dal piano della scrivania, lasciandosi cadere sulla sedia girevole e guardandomi di nuovo prima di fare un quarto di giro deciso e sollevare la gamba destra quel tanto che bastava perché il piede, o meglio la scarpa, trovasse una sistemazione sul bordo della scrivania, punta all’insù. Una normalissima scarpa da prete nera.
– D’accordo, – disse. – Suola e tacco li conosciamo.
– Sì.
– E abbiamo identificato la linguetta e le stringhe.
– Sì, – dissi.
Delineò con il dito una striscia di pelle che attraversava il bordo superiore della scarpa e scendeva sotto la stringa.
– Cos’è? – chiesi io.
– Dimmelo tu. Cos’è?
– Non lo so.
– È il risvolto.
– Il risvolto.
– Il risvolto. E questa sezione rigida sopra il tacco. Questo è il rinforzo.
– E questo pezzo a metà tra il risvolto e la striscia sopra la suola. Questo è il dorso.
– Il dorso, – ripetei.
– E la striscia sopra la suola. Quello è il guardone.
Ripetilo, ragazzo.
– Il guardone.
– Lo vedi, come restano nascoste le cose di tutti i giorni? Perché non sappiamo come si chiamano. E l’area frontale che copre il collo della scarpa come si chiama?
– Non lo so.
– Non lo sai. Si chiama tomaia.
– Tomaia.
– Ripetilo.
– Tomaia. L’area frontale che copre il collo della scarpa. Credevo di non dover imparare le cose a memoria.
– Sono le idee, che non devi imparare a memoria.
E non prenderci troppo sul serio quando arricciamo il naso di fronte all’apprendimento a memoria. La ripetizione a memoria aiuta a costruire l’uomo. E la stringa la fai passare attraverso che cosa?
– Questo dovrei saperlo.
– Certo che lo sai. I buchi su entrambi i lati e sopra la linguetta.
– Non mi viene in mente la parola. Occhiello.
– Forse ti lascerò vivere, dopotutto.
– Gli occhielli.
– Sì. E il rivestimento metallico su ciascuna estremità della stringa?
Diede un colpetto all’oggetto in questione con il dito medio.
– Questo non lo saprei neanche tra un milione di anni.
– L’aghetto.
– Neanche tra un milione di anni.
– Il puntale o aghetto.
– L’aghetto, – ripetei.
– E il piccolo anello di metallo che rinforza il bordo dell’occhiello attraverso cui passa l’aghetto. Stiamo facendo la fisica del linguaggio, Shay.
– L’anellino.
– Lo vedi?
– Sì.
– Questa è la guarnizione, – disse.
– Oddio, ragazzi.
– La guarnizione. Imparala, conoscila e amala.
– Sto andando fuori di testa.
– Questa è la conoscenza arcana definitiva. E quando porto la scarpa dal calzolaio e lui la mette su una forma per fare le riparazioni, un blocco di legno a forma di piede. Come si chiama?
– Non lo so.
– Si chiama semplicemente forma da scarpa.
– Mi si sta spaccando la testa.
– Le cose di ogni giorno rappresentano la conoscenza più trascurata. Questi nomi sono vitali per il tuo progresso. Cose quotidiane. Se non fossero importanti, non useremmo una parola così splendida di derivazione latina. Ripetila, – mi intimò.
– Quotidiano.
– Una parola straordinaria che suggerisce la profondità e la portata del luogo comune.
(...)
Poi tornai nella mia stanza e mi liberai del giubbotto. Volevo cercare le parole sul dizionario. Mi tolsi gli stivali e lanciai il berretto sul lavandino. Volevo cercare le parole. Volevo cercare velleità e quotidiano e impararle a memoria, queste stronze di parole, una volta per sempre, impararne l’ortografia, la pronuncia, ripeterle ad alta voce, sillaba per sillaba – vocalizzare, produrre suoni vocali, emettere suoni, pronunciare le parole per quello che valevano. Questo è l’unico modo al mondo di sfuggire alle cose che hanno fatto di te quello che sei.
– Talvolta penso che l’educazione che dispensiamo qui sia più adatta a un cinquantenne che ha capito di aver mancato il bersaglio al primo giro. Troppe idee astratte. Verità eterne a destra e a sinistra. Ti servirebbe di più guardarti una scarpa e nominarne le parti. A te in particolare, Shay, visto da dove vieni.
Questo parve rianimarlo. Si sporse sopra la scrivania e fissò, letteralmente, i miei stivali bagnati.
– Sono oggetti orribili, vero?
– Sì senza dubbio.
– Nominami le parti. Coraggio. Qui non siamo così ricercati, non siamo così intellettualmente chic da non poter esaminare uno studente faccia a faccia.
– Nominare le parti, – dissi. – D’accordo. Stringhe.
– Stringhe. Una su ogni scarpa. Procedi.
Alzai un piede e lo girai goffamente.
– Suola e tacco.
– Sì, continua.
Posai di nuovo il piede a terra e fissai lo stivale, che mi parve inespressivo quanto uno scatolone chiuso.
– Procedi, ragazzo.
– Non c’è molto da nominare, le pare? Un davanti e un dietro.
– Un davanti e un dietro. Mi fai venire voglia di piangere.
– La parte arrotolata sul davanti.
– Sei talmente eloquente che devo fare una pausa per riavermi. Hai nominato le stringhe. Come si chiama il lembo sotto le stringhe?
– La linguetta.
– Be’?
– Il nome lo sapevo, soltanto che non l’avevo vista.
Padre Paulus fece il suo piccolo numero, buttandosi a corpo morto sulla scrivania e sussultando lievemente come se fosse in preda a una terribile angoscia.
– Non l’hai vista perché non sai guardare. E non sai guardare perché non conosci i nomi.
Tentennò il capo come per rimproverarmi aspramente, con un gesto teatrale, e si ritrasse dal piano della scrivania, lasciandosi cadere sulla sedia girevole e guardandomi di nuovo prima di fare un quarto di giro deciso e sollevare la gamba destra quel tanto che bastava perché il piede, o meglio la scarpa, trovasse una sistemazione sul bordo della scrivania, punta all’insù. Una normalissima scarpa da prete nera.
– D’accordo, – disse. – Suola e tacco li conosciamo.
– Sì.
– E abbiamo identificato la linguetta e le stringhe.
– Sì, – dissi.
Delineò con il dito una striscia di pelle che attraversava il bordo superiore della scarpa e scendeva sotto la stringa.
– Cos’è? – chiesi io.
– Dimmelo tu. Cos’è?
– Non lo so.
– È il risvolto.
– Il risvolto.
– Il risvolto. E questa sezione rigida sopra il tacco. Questo è il rinforzo.
– E questo pezzo a metà tra il risvolto e la striscia sopra la suola. Questo è il dorso.
– Il dorso, – ripetei.
– E la striscia sopra la suola. Quello è il guardone.
Ripetilo, ragazzo.
– Il guardone.
– Lo vedi, come restano nascoste le cose di tutti i giorni? Perché non sappiamo come si chiamano. E l’area frontale che copre il collo della scarpa come si chiama?
– Non lo so.
– Non lo sai. Si chiama tomaia.
– Tomaia.
– Ripetilo.
– Tomaia. L’area frontale che copre il collo della scarpa. Credevo di non dover imparare le cose a memoria.
– Sono le idee, che non devi imparare a memoria.
E non prenderci troppo sul serio quando arricciamo il naso di fronte all’apprendimento a memoria. La ripetizione a memoria aiuta a costruire l’uomo. E la stringa la fai passare attraverso che cosa?
– Questo dovrei saperlo.
– Certo che lo sai. I buchi su entrambi i lati e sopra la linguetta.
– Non mi viene in mente la parola. Occhiello.
– Forse ti lascerò vivere, dopotutto.
– Gli occhielli.
– Sì. E il rivestimento metallico su ciascuna estremità della stringa?
Diede un colpetto all’oggetto in questione con il dito medio.
– Questo non lo saprei neanche tra un milione di anni.
– L’aghetto.
– Neanche tra un milione di anni.
– Il puntale o aghetto.
– L’aghetto, – ripetei.
– E il piccolo anello di metallo che rinforza il bordo dell’occhiello attraverso cui passa l’aghetto. Stiamo facendo la fisica del linguaggio, Shay.
– L’anellino.
– Lo vedi?
– Sì.
– Questa è la guarnizione, – disse.
– Oddio, ragazzi.
– La guarnizione. Imparala, conoscila e amala.
– Sto andando fuori di testa.
– Questa è la conoscenza arcana definitiva. E quando porto la scarpa dal calzolaio e lui la mette su una forma per fare le riparazioni, un blocco di legno a forma di piede. Come si chiama?
– Non lo so.
– Si chiama semplicemente forma da scarpa.
– Mi si sta spaccando la testa.
– Le cose di ogni giorno rappresentano la conoscenza più trascurata. Questi nomi sono vitali per il tuo progresso. Cose quotidiane. Se non fossero importanti, non useremmo una parola così splendida di derivazione latina. Ripetila, – mi intimò.
– Quotidiano.
– Una parola straordinaria che suggerisce la profondità e la portata del luogo comune.
(...)
Poi tornai nella mia stanza e mi liberai del giubbotto. Volevo cercare le parole sul dizionario. Mi tolsi gli stivali e lanciai il berretto sul lavandino. Volevo cercare le parole. Volevo cercare velleità e quotidiano e impararle a memoria, queste stronze di parole, una volta per sempre, impararne l’ortografia, la pronuncia, ripeterle ad alta voce, sillaba per sillaba – vocalizzare, produrre suoni vocali, emettere suoni, pronunciare le parole per quello che valevano. Questo è l’unico modo al mondo di sfuggire alle cose che hanno fatto di te quello che sei.
mercoledì 22 dicembre 2010
Natale in quarta
Il promemoria dei lavori per la quarta è nella apposita cartella.
In sintesi: saggio breve su Machiavelli e lettura di Fontamara per tutti; Io e te di Ammaniti per gli itineranti.
Rilettura del libro dell'Eneide già letto durante le vacanze e aggiunta di un altro libro per tutti.
In sintesi: saggio breve su Machiavelli e lettura di Fontamara per tutti; Io e te di Ammaniti per gli itineranti.
Rilettura del libro dell'Eneide già letto durante le vacanze e aggiunta di un altro libro per tutti.
martedì 21 dicembre 2010
Natale in quinta
Ricordo che il promemoria dei lavori per la quinta è nella apposita cartella.
E ricordo anche che sarebbe opportuno sapere se andiamo o no a Milano a vedere i "Giganti della Montagna" di Pirandello (che sia dopo o meno la visita al Museo del Novecento, poco importa...)
E ricordo anche che sarebbe opportuno sapere se andiamo o no a Milano a vedere i "Giganti della Montagna" di Pirandello (che sia dopo o meno la visita al Museo del Novecento, poco importa...)
domenica 19 dicembre 2010
Aracnofagia
Trovato per caso in un fascicolo pubblicitario, allegato al Venerdì di Repubblica la scorsa settimana, questo finale del primo capitolo del romanzo sotto citato m'ha incuriosito davvero tanto.
Dan Rhodes, Il bizzarro museo degli orrori, Newton Compton, pag. 12-13
«Alle tre e dieci il vecchio si sveglia di soprassalto al suono secco di legno contro legno da una delle stanze di sotto. Si mette seduto e resta in attesa di qualche altro rumore, ma non sente niente. Punta la sveglia alle cinque, poi si rimette giu e chiude gli occhi. La bocca si apre e il suo respiro riempie di nuovo la stanza, partendo con un sibilo lieve per poi trasformarsi in un rantolo, inspirazioni ed espirazioni talmente indistinguibili da fondersi in una sorta di ronzio ondeggiante.
Un ragno grassoccio avanza lungo il lenzuolo, spiccando nitido su quel bianco acceso. Passa sulla manica della camicia da notte, e qui indugia un po' prima di affrettarsi verso il collo. Nell'attimo in cui la prima delle sue otto zampe marrone scuro gli sfiora la pelle fredda, il vecchio si sveglia di nuovo. Non si muove, ma il rantolo cessa di colpo e il respiro si fa sommesso e lieve. Il ragno fa uno sprint verso la guancia, e rimane immobile per un istante prima di avvicinarsi alla bocca, rimasta spalancata. Si blocca di nuovo, quasi indeciso sulla prossima mossa, poi, con un'agilità che rasenta la grazia, si lancia nel baratro.
La bocca del vecchio si richiude e il ragno corre in tondo, cercando di uscire, ma non c'è scampo dalla lingua sottile che prima lo spinge contro la guancia e poi tra i denti posteriori. Si dibatte aspramente un'ultima volta prima di finire sgranocchiato e ridotto in una poltiglia sabbiosa mentre la lingua lambisce i denti per raccogliere i pezzetti rimasti.
Il respiro rallenta, e il vecchio manda giù i rimasugli. Poco dopo ricomincia il rantolo, dentro e fuori. Tutto come prima».
Dan Rhodes, Il bizzarro museo degli orrori, Newton Compton, pag. 12-13
venerdì 10 dicembre 2010
Simulatio, simulationis....
Il programma e le letture per la prima simulazione di terza prova sono disponibili nella cartella di quinta.
sabato 4 dicembre 2010
Lavori di approfondimento - quarta
Si svolgano i due temi proposti, inviando il lavoro (esclusivamente per mail!) entro il 13 dicembre.
1) Dimostra, in un breve testo di circa 15 righe se la seguente affermazione è vera o falsa.
“Cicerone fu un seguace della filosofia epicurea e, come Lucrezio, cercò sempre nelle sue opere di divulgare il pensiero del maestro”.
2) Cerca di definire, in un breve testo di 15 righe al massimo, la principale differenza tra la storiografia di Sallustio (metodo, ideologia, stile) e quella di Giulio Cesare.
1) Dimostra, in un breve testo di circa 15 righe se la seguente affermazione è vera o falsa.
“Cicerone fu un seguace della filosofia epicurea e, come Lucrezio, cercò sempre nelle sue opere di divulgare il pensiero del maestro”.
2) Cerca di definire, in un breve testo di 15 righe al massimo, la principale differenza tra la storiografia di Sallustio (metodo, ideologia, stile) e quella di Giulio Cesare.
Lavori di approfondimento - quinta
Si scelga una delle due tracce proposte, inviando il lavoro (esclusivamente per mail!) entro il 13 dicembre.
prima traccia
Il genere epico e quello satirico nell’età di Nerone riflettono il desiderio di affermare novità di stili e di forme rispetto alla precedente produzione propria dei due generi. Predisponi una tabella riepilogativa che illustri quali furono gli esponenti e le opere appartenenti a teli generi letterari e rilevandone gli spunti di originalità che essi presentarono.
Il pessimismo che pervade situazioni, temi e linguaggio delle opere di questo periodo rimanda ad una presa di coscienza circa il mutato clima culturale, anche a causa di una ben precisa corrente filosofica. Si può dire che le nuove opere satiriche, epiche e tragiche non mirino soltanto a un rinnovamento formale dei rispettivi generi letterari ma si carichino di significati ideologici in quanto riflettono le reazioni degli scrittori alla mutata situazione politica?
seconda traccia
Analizza la novella “La matrona di Efeso” contenuta nel Satyricon; cerca di rappresentarne graficamente l’evoluzione degli eventi avendo particolare attenzione ai termini ed ai momenti che ritieni più significativi.
Esprimi poi una tua motivata riflessione sul giudizio di seguito riportato.
“La matrona di Efeso sa affrontare una difficoltà con assai maggiore autorevolezza di un uomo. Petronio dunque, sottolineandone l’immoralità ma esaltandone l’astuzia, non sottopone il personaggio a un giudizio univoco: come fa di solito, egli si astiene da qualunque lettura moralistica dei fatti narrati.” (M. Reali)
prima traccia
Il genere epico e quello satirico nell’età di Nerone riflettono il desiderio di affermare novità di stili e di forme rispetto alla precedente produzione propria dei due generi. Predisponi una tabella riepilogativa che illustri quali furono gli esponenti e le opere appartenenti a teli generi letterari e rilevandone gli spunti di originalità che essi presentarono.
Il pessimismo che pervade situazioni, temi e linguaggio delle opere di questo periodo rimanda ad una presa di coscienza circa il mutato clima culturale, anche a causa di una ben precisa corrente filosofica. Si può dire che le nuove opere satiriche, epiche e tragiche non mirino soltanto a un rinnovamento formale dei rispettivi generi letterari ma si carichino di significati ideologici in quanto riflettono le reazioni degli scrittori alla mutata situazione politica?
seconda traccia
Analizza la novella “La matrona di Efeso” contenuta nel Satyricon; cerca di rappresentarne graficamente l’evoluzione degli eventi avendo particolare attenzione ai termini ed ai momenti che ritieni più significativi.
Esprimi poi una tua motivata riflessione sul giudizio di seguito riportato.
“La matrona di Efeso sa affrontare una difficoltà con assai maggiore autorevolezza di un uomo. Petronio dunque, sottolineandone l’immoralità ma esaltandone l’astuzia, non sottopone il personaggio a un giudizio univoco: come fa di solito, egli si astiene da qualunque lettura moralistica dei fatti narrati.” (M. Reali)
martedì 30 novembre 2010
In questa turba gaia...
Ci sono alunni di quinta che, su Facebook, apprezzano pagine tipo "Poeti fattoni che sotto l'effetto di oppio scrivono cose incomprensibili". Ecco, potremmo chiederci cos'avessero in testa loro, quando scrivevano queste frasi, parafrasando il Paradiso...
I 13-27
O eccellente Apollo, per il mio ultimo lavoro fammi contenitore della tua ispirazione poetica, mandandomi a prendere l'amato alloro. FG
O divino Apollo, all'ultimo lavoro fammi del tuo valore sia fatto contenitore, come mi mandi a darmi l'amato alloro. EF
Entra nel mio petto e ispirami così come scorticasti le membra di Marsia. VB
Entra nel mio cuore e ispirami come hai aiutato Marsia a spogliarsi delle sue membra. SG
Prima passando per il monte Parnaso, ed ora anche in questo nuovo regno mi è possibile entrare nel luogo di combattimento recintato. MR
O divina virtù se mi assisti in modo tale che la mia ombra nel paradiso rimanga impressa nella mia mente e in modo tale che io possa manifestarla, fà si che mi veda venire ai piedi del tuo diletto legno...
O divina virtù, mi vedrai venire ai piedi del tuo diletto legno, e coronarmi delle foglie che la materia di cui parlo e tu mi farete degno. PCM
...e mi vedrai essere coronato di alloro che la poesia e che tu mi farai degno. LM
O divina virtù, se ti presterai a me tanto che sulla mia testa manifesterò l'ombra del beato regno mi vedrai venire ai piedi del tuo diletto legno, e mi vedrai incoronato con le foglie della materia di cui tu mi farai degno. GS
I 76-90
...mi parve innanzi una visione del cielo così infinito come mai ne fiamma ne pioggia fecero mai sole, fiume o lago così grande. MR
Beatrice mi disse: «Tu che entri nell'errore a causa del fatto che non conosci la verità, e quindi non riesci a vedere ciò che vedresti se riuscissi a superare quell'errore che commetti nel pensare, (se superassi ciò che la tua mente t'impone il pensiero comune) vedresti il vero». MR
III 70-87
Poiché vedrai non accadere in questi cieli, se l'essere pieni di amore divino qui è necessario e se non ammiri la natura di questa carità. VB
Ciò che vedrai succedere in questi cieli, che qui l'essere pieni di carità è necessario, è ciò che vuole la sua natura.
Anzi è necessario a questi beati rimanere nella divina voglia, per far sì che diventino le nostre voglie stesse; così che, come noi siamo di soglia in soglia per questo regno, a tutto il regno piace come al re che nel suo volere ne voglia. PCM
È normale che un beato si tenga dentro la divina voglia perché si fa sua la voglia stessa. GS
di ciò che vedrai in questi luoghi non capirai se essere caritatevole è qui necesario, e se riflette la natura di Dio. LM
Anzi è formale a questo beato tenersi dentro la divina voglia, perché ad una voglia si rifanno le nostre voglie. FB
Quando la ruota che tu rendi eterna essendo desiderato, a se mi fece suscitare la mia attenzione con l'armonia che suoni e distribuisci, mi apparve uno spazio di cielo... MF
Anzi è formale a questo beato essere tenersi dentro alla divina voglia, perché una si fanno nostre stesse voglie, così ché, così come noi siamo di soglia in soglia per questo regno, piace a tutto il regno piace a loro che nel suo volere ne invoglia. RP
La volontà è quel mare al quale ciò che ella crea o che fa la natura, si muove tutto. EF
XV 55-69
Tu credi che il tuo pensiero sia meglio di quello che è venuto prima, così come non si conoscono il 5 e il 6 senza aver conosciuto prima l'uno; e per apparire più gaudioso a te, non mi domandi, che nessun altro in questa turba gaia. FB
Però perché io ti sembri più gaudioso domandami ciò che nessuno in questo felice luogo domanda. FC
Ma dopo, rimosse tutte le bugie, tutto ciò gli risulterà chiaro; e lascia perdere le persone che hanno la rogna. SG
I 13-27
O eccellente Apollo, per il mio ultimo lavoro fammi contenitore della tua ispirazione poetica, mandandomi a prendere l'amato alloro. FG
O divino Apollo, all'ultimo lavoro fammi del tuo valore sia fatto contenitore, come mi mandi a darmi l'amato alloro. EF
Entra nel mio petto e ispirami così come scorticasti le membra di Marsia. VB
Entra nel mio cuore e ispirami come hai aiutato Marsia a spogliarsi delle sue membra. SG
Prima passando per il monte Parnaso, ed ora anche in questo nuovo regno mi è possibile entrare nel luogo di combattimento recintato. MR
O divina virtù se mi assisti in modo tale che la mia ombra nel paradiso rimanga impressa nella mia mente e in modo tale che io possa manifestarla, fà si che mi veda venire ai piedi del tuo diletto legno...
O divina virtù, mi vedrai venire ai piedi del tuo diletto legno, e coronarmi delle foglie che la materia di cui parlo e tu mi farete degno. PCM
...e mi vedrai essere coronato di alloro che la poesia e che tu mi farai degno. LM
O divina virtù, se ti presterai a me tanto che sulla mia testa manifesterò l'ombra del beato regno mi vedrai venire ai piedi del tuo diletto legno, e mi vedrai incoronato con le foglie della materia di cui tu mi farai degno. GS
I 76-90
...mi parve innanzi una visione del cielo così infinito come mai ne fiamma ne pioggia fecero mai sole, fiume o lago così grande. MR
Beatrice mi disse: «Tu che entri nell'errore a causa del fatto che non conosci la verità, e quindi non riesci a vedere ciò che vedresti se riuscissi a superare quell'errore che commetti nel pensare, (se superassi ciò che la tua mente t'impone il pensiero comune) vedresti il vero». MR
III 70-87
Poiché vedrai non accadere in questi cieli, se l'essere pieni di amore divino qui è necessario e se non ammiri la natura di questa carità. VB
Ciò che vedrai succedere in questi cieli, che qui l'essere pieni di carità è necessario, è ciò che vuole la sua natura.
Anzi è necessario a questi beati rimanere nella divina voglia, per far sì che diventino le nostre voglie stesse; così che, come noi siamo di soglia in soglia per questo regno, a tutto il regno piace come al re che nel suo volere ne voglia. PCM
È normale che un beato si tenga dentro la divina voglia perché si fa sua la voglia stessa. GS
di ciò che vedrai in questi luoghi non capirai se essere caritatevole è qui necesario, e se riflette la natura di Dio. LM
Anzi è formale a questo beato tenersi dentro la divina voglia, perché ad una voglia si rifanno le nostre voglie. FB
Quando la ruota che tu rendi eterna essendo desiderato, a se mi fece suscitare la mia attenzione con l'armonia che suoni e distribuisci, mi apparve uno spazio di cielo... MF
Anzi è formale a questo beato essere tenersi dentro alla divina voglia, perché una si fanno nostre stesse voglie, così ché, così come noi siamo di soglia in soglia per questo regno, piace a tutto il regno piace a loro che nel suo volere ne invoglia. RP
La volontà è quel mare al quale ciò che ella crea o che fa la natura, si muove tutto. EF
XV 55-69
Tu credi che il tuo pensiero sia meglio di quello che è venuto prima, così come non si conoscono il 5 e il 6 senza aver conosciuto prima l'uno; e per apparire più gaudioso a te, non mi domandi, che nessun altro in questa turba gaia. FB
Però perché io ti sembri più gaudioso domandami ciò che nessuno in questo felice luogo domanda. FC
Ma dopo, rimosse tutte le bugie, tutto ciò gli risulterà chiaro; e lascia perdere le persone che hanno la rogna. SG
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