giovedì 2 agosto 2007

A scuola il declino è matematico

Il “facilismo”, cancellando i numeri, ha ferito gravemente l’istruzione

Adesso se ne stanno rendendo conto tutti: l’analfabetismo matematico che si diffonde in Italia da trent’anni è, assieme al processo di denatalità avviatosi circa dieci anni dopo, la più seria e reale minaccia di declino. Ambedue i fenomeni hanno origine nella contestazione giovanile della fine degli anni Sessanta e, soprattutto, nel compromesso “facilista” con cui si concluse in Italia. Una delle prime occupazioni universitarie fu, l’anno prima del mitico ’68, quella della facoltà milanese di Architettura, con l’obiettivo di abolire gli esami di matematica “autoritari e selettivi”. Il tema della selezione di classe, peraltro, aveva conquistato un’immensa popolarità a partire dalla “lettera a una professoressa” di don Lorenzo Milani, che in sostanza chiedeva non di fornire anche alle classi popolari gli strumenti culturali per competere, ma di abbassare gli standard delle conoscenze rischieste per avere il “foglio di carta”. La matematica, naturalmente, a causa della sua intrinseca compattezza disciplinare che difficilmente si piega al facilismo “democratico”, era indicata tra gli strumenti di questa perfida selezione.
In realtà già cinque anni prima, quando con l’introduzione della media inferiore unica e obbligatoria si era avviata la destituzione del latino come centro del principio educativo della scuola gentiliana, si era commesso l’errore di non sostituirlo con un’altra disciplina altrettanto capace di sviluppare le facoltà logiche e di educare a un esercizio ordinato. Il pregiudizio crociano sulla superiorità della cultura umanistica formativa su quella scientifica e matematica, considerata puramente tecnica, strumentale e quindi subalterna, aveva avuto ragione, a destra come a sinistra, delle intuizioni di pedagogisti moderni, come ad esempio Lucio Lombardo Radice. Così si è costruita una scuola di massa, com’era indispensabile, sulla base di una crescente facilitazione nell’accesso al diploma, che così ha finito col contare solo grazie al suo riconoscimento giuridico e senza un contenuto di conoscenza adeguato e fruibile nella società e nella cultura moderna.

da Il Foglio, 02/08/2007

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sigh... sigh... sigh... Per un'analisi aspra e disincantata della scuola italiana vi consiglierei, se già non l'avete fatto, di leggere "La scuola raccontata al mio cane, di Paola Mastroccola"...