Condivido e diffondo, anche in relazione alla prossima pubblicazione degli esiti degli esami della commissione di cui ho fatto parte, questo interessante articolo tratto da ilsussidiario.net
giovedì 9 luglio 2009
60, 65, 72, 83, 90, 95, 100: tutto finisce in un numero, è questo l’esito di tanta tensione, di un impegno come non mai, di tanto lavoro fatto, ma anche di poche e tante lacune, tutto sintetizzato in un numero.
Ma che senso avrà mai questo numero? Che senso avrà mai il punteggio finale dell’esame di stato? Un senso minimo, del tutto relativo, e non perché sia lo specchio di una scuola senza qualità, ma perché pensare di sintetizzare la preparazione di uno studente con un voto è irragionevole, non c’entra nulla con la serietà che dovrebbe avere ogni valutazione, ancor di più quella finale.
Se uno studente potesse vedere cosa succede quando alla fine del suo colloquio si chiude la porta e gli insegnanti decidono il voto del suo esame si renderebbe conto della poca credibilità che ha quel numero, non sempre, ma almeno nel novanta per cento dei casi.
Un numero non è in grado di esprimere la complessità della preparazione di uno studente, un numero non può indicare il valore delle sue capacità, un numero non sa fotografare la ricchezza umana e culturale che uno studente porta con sé, tanto meno il grado di conoscenza che ha raggiunto.
Del resto spesso questo numero è il frutto di una mediazione: alla fine del colloquio l’insegnante di matematica dice trenta, quello di filosofia dice invece ventidue, quello di italiano dice ventotto, per cui si fa venticinque, lo si somma agli scritti, che valgono 38, perché in italiano il ragazzo ha preso 13, in matematica 15, in terza prova 10, e al credito che è 20: dalla somma esce 83, ed eccolo qui il voto finale! Una somma di ingredienti che sono diversi e rimangono tali e quali, tanto che se fosse stato per l’insegnante di matematica avrebbe dato 100 e invece deve accettare un voto così basso perché deve mediare i suoi alti risultati con quelli più bassi delle altre materie. È quello dell’esame di stato un voto che spesso non rispecchia la realtà, viene da un meccanismo antivalutativo, perché non sta in nessun serio sistema che se uno studente vale 10 in matematica, 8 in italiano e 6 in filosofia, allora vale complessivamente 8. Ma che senso ha?
Per questo bisogna che gli studenti e le famiglie sappiano del valore del tutto relativo, convenzionale degli esami di stato e non gli diano il peso che non ha.
D’altra parte sarebbe decisivo per una ripresa di serietà della valutazione che il ministro restituisca ad ogni insegnante il suo voto, quello specifico, quello con cui valuta le conoscenze e le capacità espresse nella sua disciplina senza mischiarle con quelle delle altre discipline. Sarebbe il ritorno alla realtà, un ritorno che renderebbe tutto più semplice e più chiaro, non come oggi che in nome di una assurda pratica della collegialità si mette tutto nello stesso calderone, con la conseguenza che uno studente quando vede il numero cui dovrebbe corrispondere il suo livello di maturità non sa minimamente a che cosa equivalga.
Nell’attesa che il ministro tolga il punteggio finale dell’esame di stato, ponendo fine ad una farsa che è durata troppo, una cosa gli studenti che in questi giorni vedranno esposto sul tabellone il loro punteggio la devono sapere: ognuno di loro vale più di quel punteggio, molto di più, e saperlo è il trampolino di lancio verso il futuro.
(Gianni Mereghetti)
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