martedì 26 febbraio 2008

"Temi"

Nella cartella di terza, le 10 frasi tra cui scegliere quella da commentare per il prossimo 3 marzo.

Ci sono commenti che valgono come interventi

Credo che questo "commento" meriti una visibilità maggiore.
La mera conoscenza nozionistica di una materia, se non troverà un approfondimento e un’applicazione successive nell’univeristà e nel mondo del lavoro, nel giro di pochissimi anni sarà irrimediabilmente perduta! Personalmente di tutto lo studio di letteratura, filosofia, storia non mi rimangono che sprazzi di idee e concetti vaghi, nomi famosi, ai quali non so praticamente associare il motivo di tanta fama. Ed è una situazione davvero imbarazzante, in una società che identifica il concetto di “cultura” con il concetto di “cultura classica-letteraria” (anche se forse negli ultimi anni qualcosa sta cambiando in favore della “cultura scientifica”).
Dunque che senso ha studiare tanto per poi perdere tutto?
Io credo che il vero significato di puntare su una cultura generale un po’ meno specifica per ogni settore, ma con idee molto più chiare di interconnessione tra i vari studi, stia proprio qui. (Per la formazione specialistica, tanto, c’è l’univeristà!)
È un po’ come succede per gli alberi che vengono piantati sui pendii per prevenire le frane: tanto più le radici si intrecceranno tanto più il terreno rimarrà stabile. Quanto più si riuscirà a formare una cultura in grado di abbracciare i vari settori in una visione unitaria tanto più essa potrà consolidarsi e perdurare.
Il filo conduttore, la base su cui poter fondare una simile conoscenza non può che essere la storia.
Invece le materie scientifiche vengono sempre ed irrimediabilmente studiate “estrapolando i concetti dal loro contesto storico”. Errore gravissimo, principalmente perché si perde metà del fascino di queste materie, che potrebbero risultare interessanti anche a chi ha un animo più letterario; per contro le menti più scientifiche verrebbero aiutate a non perdere di vista le vicende umane e, oserei dire, la filosofia che stanno alla base di importanti scoperte.
Parallelamente le materie umanistiche lasciano pochissimo spazio alle vicende scientifiche, per quanto di notevole importanza. Quanti professori di storia, ad esempio, spiegando la seconda guerra mondiale, si ricordano di mettere nell’elenco degli eventi importanti, l’introduzione e la diffusione dell’ uso di sulfamidici e pennicillina? Si tratta di una vera e propria svolta epocale nel modo di concepire e curare le malattie. E’ la base dell’esplosivo progresso medico che ha portato l’aspettativa di vita agli attuali 80 anni, contro i 42 del secolo scorso, rivoluzionando decisamente la qualità oltre alla “quantità” di vita! E SCUSATE SE E’ POCO! Ma alla storia questo non interessa, ovviamente…
D’altronde lo vediamo bene anche noi, nel quotidiano, quanto sia assurdo pensare di scindere queste due realtà. La scienza è fatta da uomini e in quanto tali esseri dotati di sentimenti, speranze, sogni… Quando si sente nominare Einstein tutti pensiamo E=mc², ma nessuno si ricorda o si preoccupa del fatto che il più grande fisico di tutti i tempi era anche un grande filosofo! E gli “uomini di pensiero”? Beh, anche loro vivono nel mondo del progresso scientifico a nulla varrebbe negare che ne vengano influenzati (nei piccoli gesti e soprattuto nei grandi pensieri!)… sempre che non vogliano apparire anacronistici!
Ed è proprio questo il nocciolo della questione. Si parla sempre di “scientifico” VS “umanistico” senza rendersi conto di quanto questa divisione sia puramente didattica e fortemente controproducente. Se cercassimo di definire, nella storia, dove si colloca questa distinzione ci accorgeremmo che non esiste, perché inevitabilmente il pensiero scientifico ha influenzato quello umanistico e quello umanistico ha spronato la scienza. E’ necessario puntare sull’integrazione di questi due ambiti per ottenere quella capacità di fare interagire le varie discipline!
Purtroppo i programmi scolastici sembrano studiati apposta per mantenere le materie ben suddivise in compartimenti stagni. Non c’è mai corrispondenza. Lo studio della chimica inizia con il modello atomico: elaborato dalla meccanica quantistica nel 900; La fisica parte dalla meccanica di Galileo: metà 500; il programma di storia se non ricordo male inizia dalla cultura egizia…
In terza con la fisica si arriva all’800 con lo studio della termodinamica, mentre letteratura parte dal medioevo, e la filosofia viene introdotta con Parmenide e i grandi filosofi della grecia antica…
Mi rendo conto della difficoltà di gestire altrimenti le cose, ma non deve stupire, poi, che un povero studente faccia fatica a contestualizzare i vari studi e coglierne i collegamenti significativi. Forse solo alla fine della quinta, ammesso che uno riesca davvero a non dimenticare nulla di quello che ha studiato in 5 anni, potrebbe farsi un quadro generale. Da solo, ovviamente, perché nessun docente sarebbe in grado di fare quello che è richiesto agli studenti! Ogni prof infatti, forte della conoscenza specifica e approfondita della sua materia, si è auto-assolto da tanto tempo per aver dimenticato tutto quello che ha studiato al liceo… :-)

Ci sono, in questo commento, notevoli spunti di riflessione. Il conflitto "scientifico vs umanistico" richiede più tempo (e lucidità...) di quanto io ora abbia: per questo ora parto da qualche nota sull'ultima delle proposte. L'idea di insegnare ogni disciplina secondo un unico "asse storico" condiviso è suggestiva (mi ricordo le lunghe discussioni che, nei pomeriggi dei miei primi anni di insegnamento, facevo a questo riguardo con il mio ex-prof di italiano, cercando di concordare i programmi almeno delle materie di ambito umanistico...) ma materialmente impraticabile.
In un liceo, all'inizio del triennio, si affrontano le "nascite" delle letterature italiana, latina, inglese/francese ed, eventualmente, greca. Quattro momenti ben diversi nel tempo e nella storia, non riconducibili a unità se non nella prospettiva del confronto del processo generativo delle singole storie letterarie e, eventualmente, del progressivo spegnersi di una tradizione e del sorgere di una nuova forma espressiva. Non è possibile fare altrimenti. Altrimenti dovremmo ipotizzare, in un classico, di affrontare la letteratura greca dalle origini fino al periodo ellenistico e aprire solo in seconda battuta lo studio di quella latina (magari aspettando ancora un po' per vedere quella italiana...). In una scansione quinquennale forse si può pensare di simile, ma in un triennio, beh, risulta francamente impossibile. Lo spaesamento di cui si lamenta l'anonimo (iper)commentatore è, credo, la sfida di fronte alla quale si trova lo studente che non vuole essere sommerso dai dati: uno degli obiettivi che la scuola deve porsi è proprio quello di aiutare a sviluppare le capacità di analisi e di sintesi. È proprio in questo, e non nell'accumulo di nozioni la cui memoria va presto perduta, che sta la sfida di una scuola capace di chiedere molto a ciascuno (alunno & prof) ma anche di dare occasioni di confronto e crescita.
Ogni tanto, quando si sta al gioco e si è in grado di affrontare la fatica dell'impegno, capita che tutti, alla fine, vincano.

domenica 17 febbraio 2008

«Sulle tasse costruiamo il presente, ma è sulla scuola che ci giochiamo il futuro»

Si parlava, in quinta, di Quintiliano, dell'importanza della "politica scolastica" e della prossima consultazione elettorale...
Credo possa dare qualche spunto anche questo articolo di fondo, pubblicato oggi su L'Eco di Bergamo.

L'emergenza scolastica
di Alberto Krali
Education. A Tony Blair bastò una sola parola per vincere le sue prime elezioni. Dopo più di un decennio, eccola planare sulla campagna elettorale italiana. Fedele al motto «Meglio un uovo oggi che una gallina domani», la politica in Italia non si è mai posta il problema della scuola in modo serio. L'educazione è uno di quei settori dove non si pensa in termini di anni, ma quantomeno di lustri. Troppo per chi vuol monetizzare il voto e per l'esattezza subito. Anche in questa tornata elettorale al primo posto sono balzati il costo della vita e le tasse, ma immediatamente dopo arrivano i dati «Pisa». Su 40 Paesi esaminati, l'Italia è al 35° posto nella preparazione degli studenti. Sulle tasse costruiamo il presente, ma è sulla scuola che ci giochiamo il futuro dei giovani e quindi della nazione. Sono i nostri studenti impreparati? No, semplicemente si muovono a compartimenti stagni. Sanno molto o quasi di una disciplina, ma appena gliela fanno declinare con altri saperi vanno nel pallone. I loro colleghi europei ne sanno meno, ma sono in grado di far interagire le varie discipline. La matematica e la fisica non sono solo per pochi genietti se possono aiutare a decifrare i piccoli segreti dell'esperienza quotidiana, per esempio i colori e il tramonto del sole, gioco letteratura (Goethe) e scienza (Newton) insieme. Non si vuole lo scibile esaustivo del tema, basta suscitare interesse. Investire sul coinvolgimento dell'allievo per poi introdurre il metodo di lavoro. Nel tempo è quello che resta.
Ci vuole dunque passione e mestiere. La scuola italiana però nei decenni è passata dalla formazione alla fruizione. Per gli insegnanti così come per gli studenti è il voto che conta. Risultato: sanno tutto di grammatica, ma se chiedono loro che ore sono in lingua straniera diventano rossi. È l'insegnante un pedagogo? No, è diventato un impiegato. Se non sa compilare un formulario è un ignorante. Qualcuno gli ha mai chiesto, all'inizio della professione, se gli piaceva insegnare e soprattutto come pensava di farlo? No, perché ai fini della carriera non conta. Ore e ore a discutere per prendere una decisione di cinque minuti. L'assemblearismo sessantottino è ancora la regola della scuola italiana. Una questione ideologica. A nessuno è venuto in mente che quelle benedette 80 ore annuali possono essere impiegate in attività didattica, o più semplicemente di riconversione professionale, con esperienze all'estero per imparare come si lavora dalle altre parti. Prima le mani, poi il cuore, e solo dopo la testa: non è la corsia privilegiata degli ignoranti, è l'approccio pedagogico di Pestalozzi. Basta andare alla scuola svizzera, a quella tedesca o a quella scandinava per rendersene conto. Chi è in testa nella famosa graduatoria «Pisa»»?
I finlandesi, gli svedesi. Appunto. La scuola italiana non ha bisogno di grandi riforme. L'ultima, quella della Moratti, l'ennesima dopo quella di Berlinguer, ha registrato una guerra ideologica e non ha sortito particolari effetti sul piano dell'efficienza. Bastano piccoli interventi. Primo: motivare gli insegnanti. Chi lavora bene con le classi va premiato. Chi attesta il merito? Gli studenti, i genitori, una commissione indipendente esterna. Ci sono scuole buone, altre meno; ci sono regioni con buone scuole, altre con istituti scadenti. Nella Germania del federalismo un diploma in Baden-Wuerttemberg non è uguale a quello dell'Assia, e nei colloqui di lavoro se ne tiene conto. Nei Paesi anglosassoni è con la selezione che hanno ottenuto le migliori università, dove poi finiscono per approdare i rampolli della borghesia bene italiana. Concorrenza, ecco la parola.

mercoledì 13 febbraio 2008

Compleblog

Oggi, qui, si festeggia il terzo anno online.
Fino ad ora me ne ero ricordato in ritardo: così nel 2007 e così nel 2006.

mercoledì 6 febbraio 2008

Analfabeti con laurea

«Dirimere un'ambiguità lessicale è un problema per un laureato su cinque. A dir la verità, anche solo comprendere la frase che avete appena letto è un problema per un laureato su cinque...» Da leggere.

sabato 2 febbraio 2008

Mercoledì bigio io

Sarò assente mercoledì prossimo: evitate di spaccarvi le spalle portando il volume di latino (specie se ancora in versione integrale) perché farete altro. Che cosa, però, non chiedetelo a me.

Porca vacca...

Dunque: mi sono sparato la mattinata tra l'incontro "destra vs sinistra" (grandi gli alunni partecipanti e gli exalunni invitati...); gli hotdog della IV B; i colpi ai bicchierini, in compagnia del collega di filosofia, con la pistola che era poco precisa.
Ho insaccato un sacco di freddo: pomeriggio a casa per sistemare lo stomaco.
Torno a scuola, faccio il mio dovere di custode/assistente della IIIA beccandomi un rimbrotto dalla vicepreside perché stavo conducendo alcuni alunni lontano dal posto concordato per la salita in palestra (però, dai avevo l'elenco coi nomi per evidenziare eventuali assenti...). Passeggio vigilando durante la messa (con qualche distrazione, vero, ma da ammettere solo in privato); al termine, parte il rito dei saluti con le e gli ex.
Cavolo, ne ho visti di due, tre, cinque, dieci anni fa, e nessuno dell'anno scorso. Resto tra l'interdetto e il basito.
Scopro oggi che ce n'erano, un bel po', ed erano in zona portineria.
Porca vacca! Non m'era mai successo...
L'anno prossimo mi organizzo meglio, di sicuro: perché è vero che don Bosco è don Bosco, ma senza le e gli ex dell'anno scorso c'è molto che non va.