“Mi piace” e “Condividi”.
Per chi utilizza i social network, e Facebook
in particolare, questi sono due pulsanti molto conosciuti. Sono entrati poco
alla volta nelle nostre vite, inizialmente con la diffidenza di molti, ed oggi
sembrano essere il grande business della rete 2.0.
Il “mi piace” ci permette di esprimere un
apprezzamento immediato a una notizia, un evento, uno stato, un’immagine, una
comunicazione: siamo vicini a chi ha scritto, postato, taggato qualcosa e
diciamo un “ci sono anch’io”, “sappi che la penso allo stesso modo”, “mi hai
coinvolto”.
Il passo ulteriore, che ci impegna un po’ di
più è il pulsante “condividi”: oltre a essere vicini, pubblicamente, con il
nostro apprezzamento, ci prendiamo l’impegno di promuovere quella stessa
notizia, evento, stato, immagine o comunicazione e diventiamo, con le risorse
che ci sono messe a disposizione, diffusori e sponsor di quanto intendiamo condividere.
Magari il “mi piace” e il “condividi” durano
lo spazio di un momento; capita che ci dimentichiamo in fretta di
quell’apprezzamento e di quella condivisione, così vera nel momento in cui
clicchiamo sul pulsante, così facile ad essere dimenticata se non profondamente
vissuta.
Quella di oggi, nei pro e nei contro che ciò
può comportare, non è una cerimonia “2.0”: non si tratta di essere presenti per
esprimere un virtuale “mi piace” o “condividi”. Si tratta invece di
ripercorrere nella memoria – sempre più lontana e per questo sempre più in
pericolo – tratti di strade, storie, vicende, tempi e luoghi che sono
depositati in un ricordo ancora vivo, nonostante il tempo o forse, proprio
perché sfidato dal tempo.
Mi domando spesso se oggi, pur nelle mutatissime
condizioni in cui ci troviamo a vivere, saremmo in grado di compiere scelte
così radicali e così forti come quelle di coloro di cui oggi facciamo memoria;
è difficile, impossibile, dare una risposta sicura; interpretare però i segnali
che giorno per giorno lasciamo come traccia del nostro passaggio può essere
d’aiuto.
Ho letto con vero interesse, lo scorso 25
ottobre, questa lettera di una giovane ragazza 22enne studentessa di medicina, Gaia
Pedicini, indirizzata alla rubrica “Per posta” de Il Venerdì di Repubblica:
Oggi ero alla stazione e aspettavo un treno per tornare a casa che portava
la solita mezz'ora di ritardo. Guardavo il gruppo di studenti che era con me,
tutti stanchi, tutti più o meno sorridenti, abbastanza pazienti e rassegnati e
improvvisamente credo di aver capito che cosa abbiamo noi giovani italiani che non
va: siamo abituati alle cose che non funzionano bene. Ci abbiamo fatto il
callo, è la nostra normalità. Ci sorprendiamo quando un treno o un autobus
arrivano in orario, nella stessa misura in cui riteniamo una gran botta di culo
(mi si perdoni l’espressione) trovare un lavoro dignitoso al termine di un
percorso di studi. Ci stupiamo per piccole cose: se uno sconosciuto è gentile
con noi, se una lettera spedita arriva a destinazione in un tempo ragionevole,
se un professore risponde a una mail entro un paio di giorni. Alzare le spalle pensando «è così che
funziona» non è uno stimolo a essere persone migliori, anzi se possibile ci
rende molto autoindulgenti quando siamo peggiori di come potremmo e dovremmo
essere. Sono ancora abbastanza idealista da credere che sia il piccolo
miglioramento individuale di ciascuno a costruire un miglioramento collettivo.
E chiude con un’amarissima constatazione:
Il problema è che le nostre aspettative sono basse, perché ci siamo
abituati a pretendere poco sia dalla realtà che ci circonda, sia da noi stessi,
e il nostro impegno a poco a poco è diventato proporzionato alle nostre
aspettative.
C’è davvero da apprezzare la lucidità
dell’analisi, che contribuisce a dare una risposta alla domanda che ci stavamo
ponendo, ma c’è anche da riflettere sulla necessità che obiettivi alti,
missioni difficili ed imprese complesse possano e debbano tornare a costituire
l’orizzonte di riferimento della nostra azione all’interno della comunità
civile.
Se penso quindi alla situazione della Grande
Guerra, al carico di ideali e di passione che tanti italiani hanno saputo
individuare nel loro agire e – come abbiamo avuto modo di vedere anche negli
scorsi anni e nelle parole di chi mi ha preceduto – come tutta la nostra Città
abbia saputo condividere lo sforzo bellico, nella solidarietà ai più deboli e
bisognosi, ecco, se penso a questi fatti trovo non tanto i limiti quanto il
vantaggio del fatto che questa non sia una cerimonia “2.0”. Non si tratta,
infatti, di contrapporre modernità a memoria, presente e tecnologia a passato e
arretratezza, ma di cogliere dalla riflessione attenta, anche nell’oggi, le
possibilità, i valori, gli esempi di un tempo, in grado di essere modello di
azione e stimolo alla possibilità di tornare a nutrire grandi aspettative, come
hanno saputo fare coloro che ci hanno preceduto.
Noi rischiamo di accendere e spegnere il
computer o lo smartphone quasi con la stessa facilità, sembra ricordarci la
giornata di oggi, con cui accendiamo o spegniamo la nostra capacità di essere
in grado di vivere grandi speranze impegnandoci, insieme agli altri, per
raggiungerle e renderle conquiste comuni, per cui con-gioire e con-vivere.
Alle autorità civili, militari, religiose, al
delegato del sindaco di Casirate d’Adda, ai rappresentanti delle associazioni
combattentistiche e d’arma, agli studenti ed ai docenti, ai referenti di
gruppi, enti ed associazioni che operano a Treviglio e per i trevigliesi, a
tutti coloro che qui oggi partecipano alla commemorazione, un ringraziamento
sincero.
Se torniamo a casa, stamattina, con un
pensiero in più di riconoscenza e di ringraziamento, possiamo condividerlo con
gli altri nello spirito di dedizione ed impegno che tutti coloro che sono
caduti in tutte le guerre per la nostra libertà ci hanno saputo mostrare.
Noi possiamo rendere oggi questo evento,
liberato dal rischio di un passato che lo offuschi, un momento vitale: il
nostro “mi piace” ed il nostro “condividi” non si fermano pertanto nelle pagine
di un social network ma diventano concreta ed attiva azione quotidiana se nel
nostro agire riportiamo in vita attese, aspettative, passione, dedizione e
sacrificio di coloro di cui oggi facciamo memoria, proprio perché oggi – e come
ogni giorno, se ci impegniamo a seguirli – è la loro e la nostra festa, una
solennità della quale – nella dimensione della ordinaria quotidianità – avremo
il piacere di dire “mi piace” e “condivido”.
Viva l’Italia!
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