«Alle tre e dieci il vecchio si sveglia di soprassalto al suono secco di legno contro legno da una delle stanze di sotto. Si mette seduto e resta in attesa di qualche altro rumore, ma non sente niente. Punta la sveglia alle cinque, poi si rimette giu e chiude gli occhi. La bocca si apre e il suo respiro riempie di nuovo la stanza, partendo con un sibilo lieve per poi trasformarsi in un rantolo, inspirazioni ed espirazioni talmente indistinguibili da fondersi in una sorta di ronzio ondeggiante.
Un ragno grassoccio avanza lungo il lenzuolo, spiccando nitido su quel bianco acceso. Passa sulla manica della camicia da notte, e qui indugia un po' prima di affrettarsi verso il collo. Nell'attimo in cui la prima delle sue otto zampe marrone scuro gli sfiora la pelle fredda, il vecchio si sveglia di nuovo. Non si muove, ma il rantolo cessa di colpo e il respiro si fa sommesso e lieve. Il ragno fa uno sprint verso la guancia, e rimane immobile per un istante prima di avvicinarsi alla bocca, rimasta spalancata. Si blocca di nuovo, quasi indeciso sulla prossima mossa, poi, con un'agilità che rasenta la grazia, si lancia nel baratro.
La bocca del vecchio si richiude e il ragno corre in tondo, cercando di uscire, ma non c'è scampo dalla lingua sottile che prima lo spinge contro la guancia e poi tra i denti posteriori. Si dibatte aspramente un'ultima volta prima di finire sgranocchiato e ridotto in una poltiglia sabbiosa mentre la lingua lambisce i denti per raccogliere i pezzetti rimasti.
Il respiro rallenta, e il vecchio manda giù i rimasugli. Poco dopo ricomincia il rantolo, dentro e fuori. Tutto come prima».
Dan Rhodes, Il bizzarro museo degli orrori, Newton Compton, pag. 12-13
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