mercoledì 25 febbraio 2009

Ambarabà ciccì coccò

Perplessi dall'idea che i versi immortali che seguono potessero avere qualche recondito ammiratore e, soprattutto, studioso che si fosse dedicato alla loro analisi, fanciulle e fanciulli di quarta hanno discettato oggi sul tema...
"Ambarabà ciccì coccò
tre civette sul comò
che facevano l'amore
con la figlia del dottore
il dottore si ammalò
ambarabà ciccì coccò"

[...]

«Il problema che ha travagliato la critica e' certamente quello della sua datazione. [...] E' certo che la sestina non puo' essere datata prima della fondazione dell'Universita' di Bologna, dato che non si vedrebbe come la ragazza potrebbe essere altrimenti designata come figlia di dottore.[...] La fanciulla (che non sa cosa le civette le facciano) pare giocare e non gioca (ed e' vittima delle menzogne delle civette), mentre le civette si ritrovano a essere destinatarie di un segreto (fanno l'amore ma non paiono, e fingono di giocare al dottore con la fanciulla). Nel corso del secondo programma narrativo la madre scopre la verita' e identifica l'apparire con l'essere delle civette. Trascuriamo i passaggi intermedi dell'appassionante analisi greimasiana, a conclusione della quale l'autore scopre che le opposizioni profonde del carme possono essere investite nel modo che segue:

vita ---------------------- non morte
morte -------------------- non vita
dove pero' (e qui sta il pectum dolens di questa acutissima lettura) l'autore alla fine non sa piu' dove mettere il como' e decide di regalarlo all'Esercito della Salvezza. I limiti di questo nostro saggio ci impediscono di prendere in considerazione altri e innumerevoli contributi critici all'appassionate problema delle civette. Basti terminare, per ora, col recente saggio di Emanuele Severino in cui, con lucido senso del Destino, e con ben maggiore pregnanza e profondita' di quanto non accada nell'applicare gli stanchi metodi di ogni strutturalismo o formalismo, si indica nelle civette che esercitano la loro volonta' di dominio sulla figlia del dottore l'essenza stessa e la vocazione dell'Occidente.
[...]
Cosi' l'Ambaraba' iniziale e l'Ambaraba' finale sanciscono, scansione di un eterno ritorno, la nullita' del divenire come irruzione dell'inaudito. E la madre non fa che rendere evidente quando fosse prevedibile l'imprevedibile a chi avesse e nutrisse volonta' di anticipare, ante-capere, pre-catturare le civette e la loro sconfitta. Per cui, come all'inizio, sempre e di nuovo Ambaraba'.
L'intero e' immutabile.
[...]
Questo, e non altro, chiede a noi la Poesia.»

grazie a sireann.splinder.com per la citazione da Il secondo diario minimo di Umberto Eco; meno dottamente se ne parla anche in it.answers.yahoo.com

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